
Un racconto che parte da lontano e che porta la Storia qui a Stigliano.
Una rima banale e non voluta ma che aiuta ad introdurre una figura poco nota ma che di quest’acqua salutare sapeva e raccontava.
Matteo di Franco di Brando della Badessa era il suo nome. Nacque a Firenze nel 1448 da famiglia antica ma di umili origini e prese i voti da sacerdote non sappiamo quando ma è noto che li prese con il minimo degli studi consentito al ruolo. La svolta della sua vita fu quando entrò a far parte della cerchia delle persone accolte dalla famiglia dei Medici, ma resta però oscuro il modo in cui questo successe pur sapendo però che inizialmente le sue mansioni furono assai limitate.
La storia però lo ricorda alla corte di Lorenzo il Magnifico come uomo “affabile, dallo spirito intraprendente ma traffichino”. Queste sue caratteristiche lo portarono ad avere un invidiabile numero di benefici documentati da una serie di atti erogati dal notaio Domenico Guiducci tra il 1482 ed il 1494.
Il Franco non solo aveva conquistato la fiducia del Magnifico ma era nelle grazie sia della moglie Clarice Orsini che della Figlia Maddalena promessa sposa con Francesco Cybo, figlio di Papa Innocenzo VIII. Papa Innocenzo con la bolla del 21 febbraio 1490 investi della contea di Anguillara Franceschetto Cybo includendo anche Stigliano. Il tracciato quindi ora delinea in quegli anni la proprietà di Stigliano come appartenete all’autorità ecclesiastica sino al momento in cui non diventa proprietà di Francesco Cybo che la trattenne sino al 1492 anno in cui, a causa della sua dissolutezza, fu trasferita per vendita alla famiglia Orsini.
Ritorniamo ora alla Famiglia Medici e a Matteo di Franco.
Lorenzo incarica il Franco di accompagnare la moglie Clarice e la figlia Maddalena a Roma dove sarebbero state officiate le nozze tra Maddalena e Franceschetto. Di questo viaggio abbiamo traccia attraverso scritti proprio del Franco tra cui una lettera da lui scritta il 6 di maggio 1488 a Sir Piero da Bibbiena Cancelliere del Magnifico Lorenzo.
Di questa lettera ne riportiamo una parte da cui si deduce che il Franco ebbe a che vedere con innovazioni portate al complesso termale già in qualche modo appartenente alla famiglia Medici per via dell’unione con la discendenza di Papa Innocenzo VIII.
In questo scritto racconta come uno stato di degrado fu da lui migliorato, ma non c è dato al momento sapere con quale veste ufficiale lui intervenne: “…….io sono di già stato qui ai Bagni di Stigliano da dodici dì marzo in qua fermo, da quelle dua volte in fora che dico che madonna Clarice mandò per me; et òcci di già fatti ponti, chiese e spedali, che nulla non ci era; e dipoi ridotti tutti questi bagni alla toscana, che vi venga cacasangue. La stanza schifa, che il bagno a morbo è un careggi a comparazione; aria maledetta; uomini turchi; cose pessime; e di e notti a combatter con bravi, con soldati, con bari, con cani velenosi, con lebrosi, con ebri, con pazi con tristi e romaneschi. Quando sto al cuoco, quando al fornaio, quando alla taverna, quando all’oste degli albergatori, quando fra gli argomenti e capirotti e malati nello spedale, quando al merciaio, quando al pezzicagnolo, quando allo speziale, quando alla lavandaia, quando al cavallaro, quando al corriere, quando al medico quando al prete;e quando, anzi non quando, nella merda gola. Perché tutti questi ufici e cose ho condotto qua che non c’era se non le mura e quelle meze, in somma ho avuto a condurre in questo bosco dalla piccola cosa alla grande per ciò che bisogna per forse 10.000 persone che verranno questi dua mesi in questi bagni, acciò che ogn’uomo dìogni comodità che gli potesse venir voglia, si possa servire qui pe’ sua denari. E sonci solo sopra tutte queste cose: che poi che gli è sto maggio, mai è stato giorno che non ci sia stato 100 o 150 persone, piene le camere e letta e piaza e tutto che è stato tal dì che ce ne son stati più di trecento……………”
Il viaggio è raccontato da Franco nelle sue lettere e fu l’ultimo per madonna Clarice che morì nello stesso anno a Firenze di tubercolosi.
Monterano, è nel cuore di un area naturalistica splendidamente conservata, selvaggia e forte, e questo aumenta la suggestione di quelle rovine che raccontano la vita di un piccolo feudo spentosi perché abbandonato per mano francese circa due secoli fa. Di quel borgo, noto a molti, è il leone in pietra che adornava la fontana voluta dalla famiglia possidente. Si era nel cuore del diciassettesimo secolo e due cognomi in quell’epoca ben noti, immortalarono nella storia ciò che ora è custodito dalla natura; Altieri e Bernini.